“Io non ho in mio potere che ventisei soldatini di piombo, le ventisei lettere dell’alfabeto: io decreterò la mobilitazione, io leverò un esercito, io lotterò contro la morte.”

Nikos Kazantzakis

Entrando nella sede delle Nazioni Unite a New York si legge:


Bani adam a’za-ye yek peikarand,
Ke dar afarinesh ze yek gouharand.

Chu ‘ozvi be dard avard ruzgar,
Degar ‘ozvha ra namanad qarar.

To kaz mehnat-e digaran bi ghammi,
Nashayad ke namat nehand adami.

I figli dell’Uomo sono parti di un unico corpo,
Originate dalla stessa essenza.

Se il destino arreca dolore a una sola,
Anche le altre ne risentono.

Tu, che del dolore altrui non ti curi,
Tu non sei degno di essere chiamato Uomo.

Abu ‘Abdallah Mosharref-od-Din b. Mosleh Sa’di, Golestan

traduzione dal persiano di Daniela Zini

Dormire, dormire e sognare…

Sognare di una vita senza sofferenza e senza paura.

Sognare di Esseri capaci di amare oltre il limite, oltre la realtà, oltre ogni cosa, oltre la vita.

Fino dall’Antichità le donne scrittori hanno sognato una nuova era di pace mondiale.

Non ha alcun senso dire che le guerre sono una conseguenza del capitalismo o della malvagia natura degli uomini o dei sentimenti nazionalistici.

Certo, il produttore di armi e altri gruppi capitalistici possono avere interesse che scoppi una guerra, ma questo non significa che la loro volontà sia una determinante sufficiente a farla scoppiare. All’interno di ciascuno Stato i produttori di grano hanno interesse alla carestia, i costruttori di case hanno interesse che divampino incendi che distruggano città, ma non per questo si verifica la carestia o le nostre città sono distrutte dagli incendi. In ogni Stato l’ordinamento giuridico prevede argini che frenino e contengano le forze distruttrici pericolose per la vita collettiva. Le forze distruttrici prevalgono in campo internazionale solo perché mancano analoghi argini giuridici.

È probabile che, in certe occasioni, i gruppi capitalistici che ottengono l’appoggio dei governi per conseguire l’esclusività di alcuni mercati, l’appalto di lavori pubblici, l’emissione di prestiti e altri privilegi nei Paesi politicamente tanto deboli da subire l’influenza di potenze straniere, possano, senza volere la guerra, spingere a essa, facendo nascere attriti e alimentando pericolosi contrasti tra Stati. Ma anche questo avviene solo perché manca un ordine giuridico internazionale.

Se tutti gli uomini fossero animati nei loro reciproci rapporti da sentimenti di fraternità evangelica non vi sarebbe bisogno di alcuna forma di coazione legale.

L’ordinamento giuridico è, dunque, una necessità, tanto nei rapporti tra singoli individui, quanto nei rapporti tra singoli Stati.

D’altra parte i sentimenti nazionalistici anti-sociali non possono considerarsi caratteristiche psichiche innate. Sono frutto della politica: come la politica può ingenerarli, così può soffocarli.

Le lingue, le etnie, le religioni, i costumi diversi non impediscono una pacifica convivenza.

Alla fine della Prima Guerra Mondiale vi fu un serio tentativo di assicurare la pace nel mondo con una nuova organizzazione internazionale.

Quel tentativo fece completo fallimento.

Perché?

Perché – dicono alcuni – gli Stati Uniti non vollero entrare nella Società delle Nazioni: mancando gli Stati Uniti, la Società delle Nazioni non aveva il prestigio e la forza sufficienti per mantenere l’ordine internazionale.

In verità, la partecipazione degli Stati Uniti non avrebbe potuto migliorare di molto la Società delle Nazioni. Gli Stati Uniti, conservando, come gli altri membri la loro assoluta sovranità, avrebbero cercato di adoperare anch’essi l’istituzione ginevrina per il raggiungimento dei loro obiettivi di politica nazionale.

Quando il Giappone invase la Manciuria, la Francia e l’Inghilterra impedirono che la questione fosse portata davanti all’assemblea della Società delle Nazioni, nonostante risultasse a tutti evidente l’aggressione, perché non volevano mettere in pericolo i loro possedimenti in Oriente. Quando si profilò la minaccia di un’aggressione dell’Abissinia da parte dell’Italia, il governo di Laval profittò della buona occasione per negoziare degli accordi a vantaggio della Francia, promettendo di non consentire altro che mere sanzioni collettive puramente simboliche, da cui lo Stato aggressore non avrebbe avuto alcun danno.

Se fossero stati presenti i rappresentanti americani nel consiglio della Società delle Nazioni avrebbero fatto, al pari dei loro colleghi inglesi e francesi, eloquenti discorsi sulla sicurezza indivisibile ma, in pratica, quando si fosse trattato di prendere delle decisioni, avrebbero guardato solo ai particolari interessi degli Stati Uniti, appoggiando – a seconda della convenienza – l’uno o l’altro dei diversi blocchi in contrasto, senza tenere conto alcuno del diritto e degli impegni presi con la firma del “covenant”.

Vi è, poi, chi ritiene che il fallimento della Società delle Nazioni si debba imputare a un difetto secondario, non essenziale, della sua struttura: non disponeva di una forza propria per esercitare la polizia internazionale. L’espressione “polizia internazionale”, quando viene adoperata in questo senso, è assai equivoca e porta facilmente fuori strada. le operazioni militari, anche se si fossero volute attuare, risultando tanto più costose e avendo tanta minore probabilità di successo quanto più potente era lo Stato che aveva violato la legge, molto facilmente sarebbero servite solo per imporre il rispetto dell’ordine giuridico alle piccole potenze, giammai a quelle maggiori – così il mantenimento dell’ordine internazionale sarebbe stato solo l’ipocrita veste per mascherare l’egemonia degli Stati più forti.

Pretendere di costituire una forza armata a disposizione di una Società delle Nazioni di cui facevano parte Stati sovrani, avrebbe, d’altra parte, significato mettere il carro davanti ai buoi, poiché le forze armate sono il mezzo per l’affermazione concreta della sovranità, nessuno Stato avrebbe voluto concorrere alla creazione di un esercito internazionale, atto a imporgli una volontà estranea alla propria.

E seppure, per assurdo, fosse stata superata questa difficoltà, come si sarebbe potuto praticamente organizzare un tale esercito?

La nomina del comandante in capo, l’obbedienza dei soldati nel caso in cui avessero dovuto applicare misure coattive contro i connazionali, la preparazione dei piani di guerra, sono tutte cose inconcepibili se non esiste un vero governo unitario incaricato della difesa, se i soldati non hanno una cittadinanza superstatale che si traduca in un senso di fedeltà a un tale governo e, infine, se non fosse stata eliminata ogni possibilità di guerra tra gli Stati associati.

Nella nostra infelice epoca, ogni istante che viviamo, è segnato da orribili exploits di guerra e il denaro, del quale avremmo tanto bisogno per debellare Fame e Malattia, dispensato in fumo dagli Stati, sotto la copertura di progetti, presunti scientifici, che malcelano lo scopo di accrescere la loro potenza militare e il loro potere di distruzione futura.

Noi non siamo capaci di controllare né la natura né noi stessi.

Quante guerre risultano dall'incomprensione dell'Altro?

Tutte!
La Seconda Guerra Mondiale ne è un triste esempio.

Un esempio inaudito di intolleranza e di incomprensione che ha portato all'esclusione di tutto un popolo.

La stupidità dell'uomo risiede nel compiacersi a restare ignorante e come dice Albert Einstein:

“Due cose sono infinite: l'universo e la stupidità umana; ma per quel che riguarda l'universo, io non ne ho acquisito ancora la certezza assoluta.”

Roma, 20 gennaio 2014

Daniela Zini

giovedì 11 settembre 2014

MEMENTO MEMORIAE ANTONINO CAPONNETTO IO NON TACERO'! di Daniela Zini


MEMENTO MEMORIAE
“Ragazzi godetevi la vita, innamoratevi, siate felici, ma diventate partigiani di questa nuova resistenza, la resistenza dei valori, la resistenza degli ideali. Non abbiate, mai, paura di pensare, di denunciare e di agire da uomini liberi e consapevoli.”
Antonino Caponnetto



Carissimi giovani,
come forse qualcuno di voi sa, nel 1983, allorché ero magistrato a Firenze, decisi di andare a prendere il posto del Consigliere Istruttore presso il Tribunale di Palermo, Rocco Chinnici, ucciso da quella terribile associazione che si chiama “mafia”. Ciò feci per una insopprimibile esigenza interiore: quella di contribuire al riscatto della mia terra natale. A Palermo costituii l’ormai famoso “Pool” antimafia, che svolse un ruolo decisivo, da tutti riconosciuto, nella lotta contro il fenomeno mafioso, in cui mi fu sempre vicino Nicolò Mannino.
In questo impegno un insostituibile, prezioso sostegno mi venne da due grandi amici: Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Penso che conosciate la loro storia e la sua tragica conclusione nella primavera del 1992, quando quelle due inimitabili vite furono soppresse
dalla mafia. Dopo la loro morte cominciai ad incontrare cittadini di ogni età in piazze, scuole, università e sale di tutta Italia, per ricordare il sacrificio dei due amici e “far camminare le idee” per cui essi si erano battuti.
Particolarmente emozionanti sono stati, per quasi otto anni, i miei incontri con decine di studenti. Abbiamo sempre parlato di legalità, di democrazia, di impegni civili e sociali, di libertà: di quei valori - cioè - che devono sempre accompagnare il cammino, la crescita dei giovani.
Sino a poco tempo fa ho conservato tutte le lettere inviatemi da studenti ed insegnanti  [na quantità incredibile, di cui ho dovuto - ad un certo .momento - disfarmi pur se con grande tristezza].
Questo mio messaggio vuole essere un invito alla speranza e alla fiducia, certo, ma anche all’impegno ed alla lotta. Intendo dire che ognuno deve spendersi - ed anche rischiare - in prima persona perché le giovani generazioni riescano a riappropriarsi dell’avvenire, che è stato adesso rubato dalla criminalità.
Io stesso dopo anni di lavoro credo di conoscere bene i giovani di Oggi, i loro pensieri e le loro speranze, ed anche le loro delusioni, spesso provocate dall’incomprensione, dall’egoismo e dalla stoltezza degli adulti. Ed ho tanta fiducia in loro, proprio perché so - come pochi - quanto siano forti in loro le spinte verso gli ideali per i quali vale la pena di vivere.
Cari giovani, oggi in questi momenti di confusione ed incertezza, e più che mai necessario per voi ancorarvi ai grandi valori, ai grandi principi: quali la legalità, linfa vitale della democrazia e la solidarietà, intesa come amore verso il prossimo ed in particolare, verso chi ha bisogno. Solo coniugando queste due esigenze sarà possibile - a mio avviso - realizzare una vera giustizia e creare un mondo migliore per tutti.
L’avvenire è nelle vostre mani.
Ricordatelo sempre!
Sono veramente commosso della nomina a Presidente onorario del “Parlamento della legalità”.
Sono riconoscente a voi ragazzi...
E penso che di lassù siano contenti anche Giovanni e Paolo.
Firenze, 15 gennaio 2001
Antonino Caponnetto


a Donna Elisabetta Baldi Caponnetto
l’omaggio del mio rispetto a Colei che, con la Sua infaticabile dedizione, ha condiviso ogni momento della vita di Suo marito.

Daniela Zini


“Essere donna è così affascinante. È un’avventura che
richiede un tale coraggio, una sfida che non annoia mai.”
Oriana Fallaci





La prima volta che mi ha sfiorato la paura della morte, la stessa che ha accompagnato per tutta la vita Paolo e Giovanni, è stata quando avevo già lasciato Palermo. Il pentito Mannoia mi raccontò che gli era stato affidato l’incarico di sistemare un’autobomba davanti alla caserma della Guardia di Finanza, dove vivevo. Ci fu un contrattempo e il piano fallì. Ascoltare le sue parole fu come sentire la morte addosso. Mia moglie era abituata a ricevere minacce per telefono, ma è stata sempre molto coraggiosa. Alcuni giorni dopo che
lasciai Firenze per andare a Palermo, davanti al cancello di casa le fecero trovare una corona di fiori. Lei non mi disse nulla per non mettermi in ansia. Me lo ha raccontato dopo la morte di Giovanni. È sempre stata una donna forte. Una compagna meravigliosa. Ma, ora, in lei è cambiato qualcosa: le leggo il terrore negli occhi. Non vorrei farla soffrire e questo mi provoca qualche indecisione, anche se non riuscirà a immobilizzarmi. Alcuni mesi fa, ho partecipato a un convegno a Grosseto. Doveva esserci anche Paolo. I clienti dell’albergo dove mi trovavo mi hanno mandato un biglietto:
“Grazie perché lei ci aiuta a combattere la mafia e anche quel nemico terribile che si chiama indifferenza che rischia di annidarsi dentro di noi.”  
Ecco, vede, che cosa mi dà la forza per andare avanti?
La gente non vuole essere lasciata sola. Lo Stato, invece, ha ancora bisogno di capire. Lo Stato non solo ha commesso un errore di valutazione nei confronti della mafia, ma ne è stato anche complice. Nessuno si può scusare dicendo di non conoscere la mafia. Nel 1985, quando ero a Palermo, ho mandato a tutti i ministeri e alla polizia l’ordinanza del maxiprocesso. Una spiegazione dettagliatissima di Cosa Nostra. Era chiaro come agiva, come decideva di uccidere e perché, qual era il suo scopo. Se non hanno fatto nulla è perché non hanno voluto, ma certamente non possono dire di non avere capito. Occorre un cambiamento radicale e immediato.
Antonino Caponnetto


Io non tacerò!
 
di
Daniela Zini

“A me non interessa essere dalla parte vincente o da quella perdente. Quello che a me importa è essere dalla parte dove batte il mio cuore.”
John Fitzgerald Kennedy




“Sed quo sis, Africane, alacrior ad tutandam rem publicam, sic habeto: omnibus, qui patriam conservaverint, adiuverint, auxerint, certum esse in caelo definitum locum, ubi beati aevo sempiterno fruantur; nihil est enim illi principi deo, qui omnem mundum regit, quod quidem in terris fiat, acceptius quam concilia coetusque hominum iure sociati, quae civitates appellantur; harum rectores et conservatores hinc profecti huc revertuntur.”
Marcus Tullius Cicero, De re publica, Somnium Scipionis
 
Mi domando, sovente, da dove traggano origine le idee.
A volte, una osservazione casuale fatta da un Amico, nel corso di una discussione, innesca un processo che mi porta a nuove intuizioni. Ed è la ragione per cui vorrei ringraziare Renato Scalia, consigliere della Fondazione Antonino Caponnetto.
Vi sono volti e voci che mi ispirano, mi sfidano, mi pungolano e mi spronano a elevarmi per avanzare nella vita e contribuire a far avanzare le cose.
Sono un sano contagio, una magnifica emulazione, talvolta, una intimidazione… tanto sono nobili.
Sono dei preziosi “carburanti”, quando la speranza negli uomini o nelle circostanze potrebbe indurmi ad alzare le braccia e ad arrendermi.  
Alcuni di questi volti e di queste voci hanno versato il proprio sangue per aprirci la via alla Libertà, alla Democrazia e alla Giustizia. Sono stati in grado di esercitare una influenza potente sulla Storia Universale, sul progresso dei Popoli e delle Nazioni, sull’ordinamento politico, sulla vita etico-religiosa di intere comunità e di determinare, per secoli, la struttura culturale e sociale dell’Umanità.     
Hanno saputo distinguere il politico dalla politica… la propria tasca dal danaro pubblico.
Meritano rispetto e sostegno.
Perché nel sistema, hanno resistito al sistema.
Hanno saputo dire:
“NO!”
NO, per lo Stato.
NO, per il Popolo.
NO, per la Patria.
A loro dico:
“Grazie!”
Ritroveranno affetti e vocazioni che hanno lasciato, laddove sono andati...
In nome del loro sacrificio, noi dovremmo avere la ricerca della Libertà, della Democrazia e della Giustizia dell’Uomo esigente.
Io ammiro questi spiriti brillanti e impegnati che, con i loro modelli, partecipano a strutturare il mio modo di pensare il Mondo.
Possano questi spiriti essere dei venti sotto le vele delle nostre lotte per accedere alla Libertà, alla Democrazia e alla Giustizia nel nostro Paese!
Chi si appresterà a prendere il testimone?
Come tutti gli Esseri Umani, io non posso fare previsioni certe su quello che accadrà in futuro.
Molti moriranno senza avere compreso come si muova il mondo e, probabilmente, non se ne preoccuperanno affatto.
Di altra tempra sono coloro che amano assumersi responsabilità. Pur non avendo la pretesa di conoscere l’avvenire, non sono disposti a osservare in disparte, aspettando che le cose seguano il loro corso.
Secondo un importante principio etico, al quale la società occidentale riconosce grande valore, errare nel fare previsioni è umano, ma non tentare di comprendere il mondo, in cui si vive, è una viltà intellettuale.
La nostra generazione può scegliere di scuotere il giogo, che la mantiene nella serena rassegnazione o nella ammirazione passiva, per decidere di divenire attrice della sua Storia.
Vi sono tante Terre di Libertà, di Democrazia e di Giustizia da conquistare o da riprendere.
Noi abbiamo una responsabilità di fronte alla generazione che ci ha preceduto e di fronte alla generazione che ci seguirà.
Considerata la nostra miopia, quando si tratta di valutare la nostra civiltà, i suoi errori, le sue probabilità di sopravvivenza e la opinione che ne avrà la posterità, non abbiamo, di certo, il diritto di stupirci che i Romani del terzo e del quarto secolo si siano accontentati, sino alla fine, di vaghe meditazioni sugli alti e i bassi del Fato, invece di interpretare, con maggiore chiarezza, i segnali della morte del loro mondo.
Non vi è nulla di più complesso della curva di una decadenza… 
E, con la passione per la Terra del mio cuore, Vi lascio con queste poche righe, ispiratemi da Antonino Caponnetto – che, lo scorso 5 settembre, avrebbe compiuto 94 anni – per ringraziarlo di aver incrociato la mia vita, le Vostre vite.
Non sarà dimenticato!
Daniela Zini




O Capitano! Mio Capitano!
Walt Whitman, 1865


O Capitano! Mio Capitano! Il nostro viaggio tremendo è terminato,
La nave ha superato ogni ostacolo, l'ambìto premio è conquistato,
Vicino è il porto, odo le campane, tutto il popolo esulta,
Occhi seguono l'invitto scafo, la nave arcigna e intrepida;
Ma o cuore! Cuore! Cuore!
O gocce rosse di sangue,
Là sul ponte dove giace il Capitano,
Caduto, gelido, morto.


O Capitano! Mio Capitano! Risorgi, odi le campane;
Risorgo - per te è issata la bandiera - per te squillano le trombe,
Per te fiori e ghirlande ornate di nastri - per te le coste affollate,
Te invoca la massa ondeggiante, a te volgono i volti ansiosi;
Ecco Capitano! O amato Padre!
Questo braccio sotto il tuo capo!
È  solo un sogno che sul ponte
Sei caduto, gelido, morto.


Non risponde il mio Capitano, le sue labbra sono pallide e immobili
Non sente il padre il mio braccio, non ha più energia né volontà,
La nave è all'ancora sana e salva, il suo viaggio concluso, finito,
La nave vittoriosa è tornata dal viaggio tremendo, la meta è raggiunta;
Esultate coste, suonate campane!
Mentre io con funebre passo
Percorro il ponte dove giace il mio Capitano,
Caduto, gelido, morto.



D
all’inizio del ventesimo secolo l’intera Umanità vive in circostanze catastrofiche. I tempi tranquilli, nei quali un sistema universale e profondamente, radicato di valori scientifici, creativi e vitali sembrava sussistere incrollabile, sono, totalmente, scomparsi.
Ovunque, divisioni, scissioni…
Ovunque, avvenimenti fluttuanti, mutevoli, contraddittori…
E, nonostante ciò, vi è l’ideale di una finalità comune: riunire in una comunità armonica i Popoli, affinché si adattino gli Uni agli Altri e si fecondino a vicenda. Per quanto non sia possibile cogliere l’Umanità in tutto il suo complesso – in assenza di un contenuto culturale comune, capace di costruire una civiltà nuova –, nondimeno questa consapevolezza non impedisce l’aspirazione di una unione dei Popoli, dacché si avverte che le finalità, in campo sociale ed etico, debbano, sempre, oltrepassare il verosimile per avere una efficacia creativa.
Fenomeno strano, seppure comprensibile, nella nostra epoca inquieta e rivoluzionaria, sono vive due tendenze contrastanti: l’una, che spinge alla scissione, al distacco, financo alla autodisgregazione; l’altra, che mira alla unificazione.
Nel gioco delle forze politico-sociali manca una linea unitaria: forze diverse, in lotta tra loro, dominano la vita multiforme degli individui e degli strati sociali. Questa duplicità delle forze fondamentali e, apparentemente, inconciliabili, questi effetti di forze contrarie, ma tra loro intersecate, si ritrovano in tutti i grandi periodi della Storia, sia nell’Antichità, sia nell’Era Moderna.
Si ha, tuttavia, l’impressione che l’Umanità non abbia, mai, conosciuto tensioni e sconvolgimenti della potenza e della vastità di quelli che abbiamo occasione di osservare, noi, oggi.
In queste circostanze caotiche, nelle quali vediamo Gruppi, Popoli, e Culture crollare e nuove strutture politiche e sociali sorgere al loro posto, emergono, naturalmente, problemi di ogni genere, nuovi e vecchi, razionali e irrazionali, che solo in piccola parte ammettono una soluzione.
Le nuove idee di attualità, i progetti per l’avvenire, le ideologie, le parole altisonanti e le teorie cavillose contribuiscono a confondere gli spiriti. Si presuppone che gli Uomini siano in grado, per la loro preparazione, di adempiere questi compiti in tutta la loro estensione. Senza una particolare selezione, si affidano a individui i compiti più diversi e la maggior parte di loro sembra, anche, essere in grado di eseguirli, fintantoché non si richiedano forza creatrice e grandezza personale. Di fronte a questo grande gruppo di “capaci” sta lo strato molto più esiguo degli individui “di talento”, predestinati da natura a compiti maggiori e più importanti.
Il mondo moderno, con i suoi infiniti nuovi assunti, ha bisogno di di uomini “di talento”, la cui mancanza può essere imputata al numero estremamente limitato di individui dotati di qualità superiori o al malfunzionamento della selezione naturale, nella loro scelta. È possibile, anzi è probabile, che molte persone di talento soccombano nella competizione con individui sprovvisti di talento, ma abili a destreggiarsi nella lotta per la vita.
Se l’apparenza sembra contare più della sostanza, non può non avere un peso rilevante nella complessità dei problemi, che l’Italia ha di fronte.
Gli Italiani sono, da sempre, convinti che la realtà del loro Paese differisca, radicalmente, da quella di ogni altra Nazione europea.
Il giorno dopo l’uccisione di Giovanni Falcone, mi trovavo a cena, ospite nella casa al mare di una Amica, quando uno degli invitati proruppe d’improvviso:
“Mi vergogno di essere italiano. Un Paese democratico, che non ha nemici esterni, viene affossato da nemici interni che uccidono un alto funzionario dello Stato.”
Tutti erano unanimi nel concordare che l’Italia stesse attraversando un momento molto particolare della sua Storia.
E avevano ragione…
Ma gli Italiani si ripetono la stessa frase da decenni!
E hanno, sempre, ragione…
Si deve supporre che sia venuta a cadere la barriera che separa gli eventi ordinari da quelli straordinari?    
Viene, generalmente, riconosciuto che alla Democrazia si accompagnino, inevitabilmente, scandali politici.
Vi è, tuttavia, un abisso tra il carattere casuale di certi episodi di corruzione che hanno luogo, nei maggiori Paesi occidentali, e lo stile istituzionalizzato, sistematico, arcaico, con cui avvengono, in Italia!
Interminabili speculazioni sono state fatte sugli intrecci tra mafia e politica.
Non esistono ricerche approfondite sulla sociologia degli scandali politici, ma Andrei S. Markovits e Mark Silverstein sostengono che le Nazioni ne traggono reali benefici.
“Gli scandali rafforzano i legami dell’etica sociale. Offrono dei capri espiatori, l’immagine del nemico e dell’emarginato di cui tutte le società hanno bisogno. Lo scandalo costituisce una minaccia per le norme e i valori della collettività; il rituale ufficiale delle indagini, il dibattimento e il verdetto servono in ultima analisi a rafforzare il primato delle leggi e dell’etica sociale.”
Paradossalmente, rappresenterebbero un fattore coesivo per la collettività!
Non si può comprendere la realtà italiana senza rendersi conto che, in qualche misura, nella società vi sono molti poteri “supplementari”, che hanno qualche grado di indipendenza de facto. Per decenni, la situazione è stata caratterizzata da un equilibrio tra poteri molto diversi, la Chiesa, il crimine organizzato, il mondo degli affari e, in parte, il sindacato.
E, per quanto, abbia chiesto “in giro”, non sono mai stata riuscita a scoprire se il potere indipendente della Massoneria sia un mito o una realtà.  
Buona parte della politica italiana può essere compresa a fondo solo avendo letto Niccolò Machiavelli.
Di più!
È molto probabile che una attenta lettura di Niccolò Machiavelli abbia sviluppato nei politici italiani e nella classe dirigente in genere quegli atteggiamenti che hanno portato il Paese alla situazione attuale.
Rileggete, ogni mese, Il Principe.
Utilizzate i margini del libro per tracciare dei paralleli tra i concetti, contenuti nel libro, e l’attualità italiana.
Fate un confronto tra gli eventi di oggi e quelli dell’epoca, cui risale l’opera.
Dopo un anno di questo esercizio avrete sviluppato un nuovo modo di analisi politica.
In Italia, vi sono ancora politici, che credono che Charles-Louis de Secondat, barone de La Brède e de Montesquieu, meglio noto come Montesquieu, esagerasse quando affermava che, nella società, vi sono tre poteri che si bilanciano tra loro: quello esecutivo, quello legislativo e quello giudiziario.
Ritengono, infatti, che ne esistano solo due: quelli politici.  
A diciotto anni sognavo, di diventare magistrato e mi iscrissi a Giurisprudenza e, dopo aver sostenuto i primi esami, parlando con un giovane assistente di “buona apparenza, molta forma e poca sostanza” circa le mie ambizioni, desistetti. Mi fece capire che non era il caso, che non sarei, mai, stata un buon giudice, che, con il mio carattere non sarei riuscita a condannare neppure un innocente…
Ancora oggi, mi chiedo cosa intendesse dire con quelle parole…
Ma basta!
Vorrei chiudere queste poche righe con una frase di Paolo Borsellino, dopo la morte di Giovanni Falcone:
“Devo fare in fretta, perché adesso tocca a me.”
Dobbiamo fare in fretta, perché adesso tocca a me… e tocca a tutti Voi… prestare orecchio alle parole di Antonino Caponnetto…

Queste sono le parole di un vecchio ex-magistrato che è venuto nello spazio di due mesi due volte a Palermo con il cuore a pezzi a portare l’ultimo saluto ai suoi figli, fratelli e amici con i quali ho diviso anni di lavoro di sacrificio di gioia, anche di amarezza. Soltanto poche parole per un ricordo, per un doveroso atto di contrizione che poi vi dirò e per una preghiera laica ma fervente.
Il ricordo è per l’amico Paolo, per la sua generosità, per la sua umanità, per il coraggio con cui ha affrontato la vita e con cui è andato incontro alla morte annunciata, per la sua radicata fede cattolica, per il suo amore immenso portato alla famiglia e agli amici tutti. Era un dono naturale che Paolo aveva, di spargere attorno a sé amore. Mi ricordo ancora il suo appassionato e incessante lavoro, divenuto frenetico negli ultimi tempi, quasi che egli sentisse incombere la fine. Ognuno di noi e non solo lo Stato gli è debitore; ad ognuno di noi egli ha donato qualcosa di prezioso e di raro che tutti conserveremo in fondo al cuore, e a me in particolare mancheranno terribilmente quelle sue telefonate che invariabilmente concludeva con le parole:
“Ti voglio bene Antonio.”
ed io replicavo:
“Anche io ti voglio bene Paolo.”
C’è un altro peso che ancora mi opprime ed è il rimorso per quell’attimo di sconforto e di debolezza da cui sono stato colto dopo avere posato l’ultimo bacio sul viso ormai gelido, ma ancora sereno, di Paolo. Nessuno di noi, e io meno di chiunque altro, può dire che ormai tutto è finito.
Pensavo in quel momento di desistere dalla lotta contro la delinquenza mafiosa, mi sembrava che con la morte dell’amico fraterno tutto fosse finito. Ma in un momento simile, in un momento come questo coltivare un pensiero del genere, e me ne sono subito convinto, equivale a tradire la memoria di Paolo come pure quella di Giovanni e di Francesca.
In questi pochi giorni di dolore trascorsi a Palermo che io vi confesso non vorrei lasciare più, ho sentito in gran parte della popolazione la voglia di liberarsi da questa barbara e sanguinosa oppressione che ne cancella i diritti più elementari e ne vanifica la speranza di rinascita. E da qui nasce la mia preghiera dicevo laica ma fervente e la rivolgo a te, presidente, che da tanto tempo mi onori della tua amicizia, che è stata sempre ricambiata con ammirazione infinita. La gente di Palermo e dell’intera Sicilia, ti ama presidente, ti rispetta, e soprattutto ha fiducia nella tua saggezza e nella tua fermezza. Paolo è morto servendo lo Stato in cui credeva così come prima di lui Giovanni e Francesca. Ma ora questo stesso Stato che essi hanno servito fino al sacrificio, deve dimostrare di essere veramente presente in tutte le sue articolazioni, sia con la sua forza sia con i suoi servizi. È giunto il tempo, mi sembra, delle grandi decisioni e delle scelte di fondo, non è più l’ora delle collusioni degli attendismi dei compromessi e delle furberie, e dovranno essere, presidente, dovranno essere uomini credibili, onesti, dai politici ai magistrati, a gestire con le tue illuminate direttive questa fase necessaria di rinascita morale: è questo a mio avviso il primo e fondamentale problema preliminare ad una vera e decisa lotta alla barbarie mafiosa. Io ho apprezzato le tue parole, noi tutti le abbiamo apprezzate, le tue parole molto ferme al Csm dove hai parlato di una nuova rinascita che è quella che noi tutti aspettiamo, e laddove anche con la fermezza che ti conosco hai giustamente condannato, censurato, quegli errori che hanno condotto martedì pomeriggio a disordini che altrimenti non sarebbero accaduti perché nessuno voleva che accadessero.
Solo così attraverso questa rigenerazione collettiva, questa rinascita morale, non resteranno inutili i sacrifici di Giovanni, di Francesca, di Paolo e di otto agenti di servizio. Anche a quegli agenti che hanno seguito i loro protetti fino alla morte va il nostro pensiero, la nostra riconoscenza, il nostro tributo di ammirazione. Tra i tanti fiori che ho visto in questi giorni lasciati da persone che spesso non firmavano nemmeno il biglietto come è stato in questo caso, ho visto un bellissimo lilium, splendido fiore il lilium, e sotto c’erano queste poche parole senza firma:
“Un solo grande fiore per un solo grande uomo solo.”
Mi ha colpito, presidente, questa frase che mi è rimasta nel cuore e credo che mi rimarrà per sempre.
Ma io vorrei dire a questo grande uomo, diletto amico, che non è solo, che accanto a lui batte il cuore di tutta Palermo, batte il cuore dei familiari, degli amici, di tutta la Nazione. Caro Paolo, la lotta che hai sostenuto fino al sacrificio dovrà diventare e diventerà la lotta di ciascuno di noi, questa è una promessa che ti faccio solenne come un giuramento.
Palermo, 24 luglio 1992
Antonino Caponnetto



Daniela Zini
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